Il difficile rapporto tra Stati Uniti e Cina sarà lo scontro di questo secolo?
L’attualità internazionale ritorna a farci analizzare il cambiamento che il mondo sta attraversando nello scontro tra le due superpotenze, una in ascesa, la Cina di Xi Jimping e l’altra in declino, gli Stati Uniti d’America.
Gli Stati Uniti, per quasi tutto il ventesimo secolo, hanno dominato il mondo ed imposto l’ordine di marca americana; in particolare da quando si è verificato il crollo dell’URSS e sono rimasti l’unica superpotenza.
All’improvviso gli americani si sono accorti di avere un concorrente e la rivalità risulta in costante aumento.
Il confronto, oltre che sul piano economico, si raffronta anche su quello militare dove la Cina ha fatto enormi progressi.
Di recente alcuni analisti statunitensi hanno avvertito che la marina cinese possiede più navi della marina americana, tralasciando il fatto che la maggior parte delle navi cinesi sono unità navali di piccole e medie dimensioni. La principale preoccupazione strategica della Cina è, infatti, la difesa delle sue coste.
La strategia cinese è quella di impedire l’accesso al suo mare e tenere a bada le portaerei americane. A tal fine, Pechino ha sequestrato, nel Mar Cinese Meridionale, molte piccole isole e atolli corallini per creare una barriera alla Marina USA. Esattamente la stessa cosa che gli USA hanno fatto con le isole Diego Garcia dove hanno realizzato la più grande base aeronavale nell’Oceano Indiano.
Agli USA questo è permesso ma alla Cina no, nell’ordine globale diretto da Washington, il fatto che la Cina abbia creato le sue basi sugli atolli del Mar Cinese meridionale, viene considerato “illegale”.
Gli Stati Uniti trascurano il fatto che il principale impulso di Pechino è di tipo economico, grazie alla sua “Nuova Via della Seta” (Belton Road) , un programma civile, che punta sullo sviluppo delle infrastrutture nell’Asia meridionale come area di interesse di Pechino.
L’intervento della Cina è un’occasione di sviluppo per un continente che si trova in un livello di povertà che risulta di poco superiore alla regione più povera del mondo, l’Africa subsahariana. Il reddito procapite della regione corrisponde a meno di 2 dollari al giorno. Questo è il risultato delle forme di neocolonialismo, che hanno sfruttato il lavoro a basso costo di quei paesi. La globalizzazione del capitale negli anni ’80 ha accelerato la disuguaglianza economica.
Prima dell’influenza economica della Cina, lo sviluppo di quei paesi si era affidato alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale (FMI), che richiedevano di aprire i loro mercati al capitale occidentale e di ridurre i loro debiti attraverso severe misure di austerità che hanno strangolato tutte le spese sociali.
Gli organismi finanziari occidentali si sono concentrati sulle linee di produzione per fare di quei paesi delle fabbriche a basso costo, tralasciando le infrastrutture che sono la parte essenziale per far crescere un paese.
La Belt and Road Initiative (BRI) cinese ha adottato un’impostazione nettamente diversa. Una combinazione di sviluppo delle infrastrutture, commercio e assistenza finanziaria, ha collegato i paesi di Asia, Africa, Medio Oriente ed Europa in una nuova “Via della seta”. Questa iniziativa si appoggia su organismi finanziari cinesi, come la “Asian Infrastructure Investment Bank” che finanziano la costruzione di strade, ponti e linee ferroviarie in tutta l’Asia occidentale, incluso l’Iran, paese sottoposto a sanzioni ed embargo USA. In questo paese Pechino ha delineato un programma di investimenti per 400 miliardi da realizzare in 25 anni. Cosa che ha fatto infuriare il Dipartimento di stato USA.
L’apporto della Cina sta creando una serie di effetti positivi che promettono di far uscire tutta la regione dell’Asia Occidentale dal sottosviluppo.
La Cina sta pesantemente calpestando gli interessi delle grandi entità finanziarie occidentali; inoltre l’utilizzo sempre più diffuso di monete alternative al dollaro rischia di incrinare la supremazia del dollaro.
Gli Stati Uniti sono al momento impantanati nella loro situazione interna con la crisi della pandemia e i tumulti razziali, la crisi economica e la vigilia delle elezioni presidenziali.
L’argomento Cina viene quindi utilizzato in modo strumentale per prospettare la “minaccia” per il modello americano. Sembra improbabile che in questo momento l’Amministrazione statunitense voglia uno scontro militare.
La sostanziale differenza fra la mentalità cinese e quella americana sta nel fatto che la Cina, forte di una storia millenaria, tende a pensare in prospettiva e non nel breve periodo, come è tipico della mentalità dei politici statunitensi.
Tale fattore può spiegare come la dirigenza di Pechino non stia rispondendo nel dovuto modo alle provocazioni di Trump e di Mike Pompeo ma piuttosto abbia adottato dei toni morbidi, sottolineando il suo rispetto dei trattati e mettendo in risalto le inadempienze di Washington.
Tutto potrebbe accadere dopo le elezioni negli Stati Uniti. Si preannunciano tempi difficili ma interessanti.