L’Europa del “dumping” sociale

 

L’Europa del dumping sociale

Il caso dell’azienda “Embriaco” di Riva di Chieri che ha deciso di chiudere il proprio stabilimento a Riva di Chieri (provincia di Torino) licenziando 497 dipendenti e trasferendo la produzione nella Slovacchia, quindi in un altro Paese dell’Unione Europea, ha messo in luce l’assurda costruzione dell’Unione Europea e l’assoluta indifferenza sia per quanto riguarda l’occupazione sia per quanto riguarda le sovranità nazionali degli Stati membri. Infatti, il trasferimento – come altri avvenuti in passato in Polonia, Romania, Bulgaria e altri Paesi dell’Est europeo – è stato voluto dalla proprietà aziendale (che poi è americana, la Whirpool Corporation produttrice di lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi e altri elettrodomestici) a causa del fatto che le retribuzioni e le condizioni ambientali e sociali del nuovo Paese dove si svolgerà la produzione sono più basse e meno vincolanti di quelle italiane. Questo in termini economici si chiama “dumping”, ovvero “scavalco” nella produzione risparmiando sui costi del lavoro e sociali. Ora, se ciò è consueto, anche se censurabile, per quello che avviene fuori dall’Unione Europea perché conseguente alla malaugurata istituzione del “WTO” (Organizzazione Mondiale del Commercio) effettuata su basi esclusivamente capitaliste e del cosiddetto “libero mercato” senza tener conto dei vincoli e degli oneri relativi alla tutela del lavoro, dell’ambiente, della sicurezza, della salute, della qualità dei prodotti (vedi l’invasione di prodotti cinesi, bengalesi, indiani), ciò è assolutamente inammissibile per quanto concerne gli spostamenti all’interno dell’Unione Europea. Ma come: l’Unione Europea, che emette “direttive” per qualsiasi stupidaggine, che minaccia multe milionarie per le mancate applicazioni, che controlla minuziosamente le leggi di bilancio, che impone l’età pensionabile, non si preoccupa poi di eguagliare le condizioni retributive dei lavoratori europei e comunque d’impedire – a scanso di severe sanzioni – la concorrenza sleale tra un Paese e un altro per accaparrarsi aziende, che poi non sono neanche europee? Eppure l’Unione Europea, in teoria, era nata proprio per la “giustizia sociale”: ha addirittura un “Consiglio economico e sociale”, ha un Commissario per il dialogo sociale, un altro per gli affari sociali, un altro ancora per l’occupazione e poi quello per la concorrenza. Ma nessuno ha emesso qualche “direttiva” per impedire questi “dumping” sociali, peraltro senza prevedere neanche risarcimenti per i lavoratori colpiti dal provvedimento. Senza contare, poi, il “vulnus” alla sovranità nazionale dello Stato vittima dei licenziamenti che avrebbe dovuto almeno avere un confronto preventivo, in sede europea, con l’altro Stato che accoglie l’industria in corso di trasferimento per concordare, insieme, condizioni e risarcimenti. Questo episodio, e ciò che esso rappresenta, dovrebbe far riflettere e agire tutti coloro che sono coinvolti in questa campagna elettorale e renderli consci che è veramente giunto il momento di rivedere i rapporti con questa Europa che pensa solo ai “mercati” e non alle “persone”!

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