L’Europa si sottomette al grande padrone e lascia campo libero alla nuova veste dell’Imperialismo USA


 

L’Europa si sottomette al grande padrone e lascia campo libero alla nuova veste dell’Imperialismo USA

Come si poteva facilmente prevedere, la nuova impostazione dell’Amministrazione USA sotto Joe Biden consiste nella riaffermazione del vecchio dominio unilaterale di Washington sul mondo.

La sceneggiata dell’incontro Biden Putin non ha cambiato di un passo quella che è l’attuale inclinazione politica dell’Amministrazione Biden, guidata dai personaggi dell’apparato del Deep State.  Il tentativo goffo di lanciare una campagna ideologica per l’affermazione delle “democrazie” contro i “paesi autocratici”, non ha convinto nessuno ma ha dato la sensazione di come Washington si sia mossa per ripristinare la fiducia nella sua leadership. Tanto meno ha avuto successo lo smascherato intento di inserire un cuneo fra la Russia e la Cina, nell’illusone di far saltare la stretta cooperazione economica.

Gli USA di Biden sono in affanno per riconquistare quel loro vecchio primato di fronte alle avversità generate dalla globalizzazione, dall’emergere di fatto del multipolarismo. Washington deve affrontare l’emergere di un grande rivale (la Cina) e l’insubordinazione di alcuni dei suoi vecchi alleati.

Il potere imperiale USA ha perso influenza e capacità di intervento, quelle che erano state le costanti del suo dominio nei decenni passati.

Le tre principali aree dove gli USA cercano attualmente di impegnarsi per ripristinare il loro dominio sono: 1) il controllo delle risorse naturali, 2) la sottomissione dei popoli e 3) la neutralizzazione dei rivali. Tutte le operazioni di espansione e di intervento di Washington sono mirate a catturare ricchezza, reprimere ribellioni e scoraggiare o destabilizzare i concorrenti.

Il controllo delle materie prime è fondamentale per mantenere il primato militare e garantire approvvigionamenti che incidono sull’andamento dell’economia, fra questi le risorse energetiche ed i microchip. Contenere le rivolte popolari è essenziale per stabilizzare l’ordine capitalista che il Pentagono ha assicurato per decenni. Per questo fine gli Stati Uniti cercano di mantenere ed espandere gli interventi delle forze con cui tradizionalmente sono intervenuti in America Latina, come in Africa, Medio Oriente e Asia meridionale. Tuttavia nelle aree di intervento gli USA devono affrontare i cinesi che operano in quelle stesse aree e che sono impegnati ad espandere la loro aree di influenza. 

Diventa inevitabile lo scontro per il controllo delle zone nevralgiche che sono interesse primario della Cina, dal Mar Cinese Meridionale all’Africa.

In quelle battaglie si risolverà il successo o il naufragio della resurrezione imperiale statunitense.

Il problema più complesso per gli strateghi di Washington è quello di affrontare contemporaneamente Russia e Cina, le due superpotenze che insidiano il dominio mondiale USA. Uno scontro diretto in questo momento viene escluso e gli americani puntano su una destabilizzazione interna che può essere prodotta seminando agenti di intelligence, mercenari e agenti provocatori.

Non ci vuole molta fantasia per indovinarlo ma è tutto scritto nei documenti predisposti dai centri di intelligence, come la Rand Corporation, che dettano le strategie che sono fatte proprie poi dal Pentagono.

I punti sensibili dove gli USA devono attaccare la Russia sono i seguenti: l’Ucraina, la Siria, il Caucaso e l’Asia centrale.

Per quello che riguarda la Cina non si può escludere un confronto militare nelle aree di Taiwan e del Mar Cinese Meridionale dove la Cina non tollera le intromissioni degli Stati Uniti.

Tutta questa campagna di riaffermazione della leadership USA deve essere presentata sotto la veste di un “crociata” che mette in primo piano i totem della “democrazia liberale” e i “diritti umani”. Due totem del tutto logori e sfruttati che sono facilmente contestabili nella sostanza, viste le disastrose esperienze delle guerre umanitarie intraprese da Washington nei decenni passati. 

In questo scenario per nulla tranquillizzante si inserisce l’Europa, richiamata da Biden all’ordine per partecipare alla comune crociata lanciata da Washington contro i “nemici delle democrazie”, Cina e Russia. Una chiamata che l’Europa ha subito accettato senza tentennamenti: al possente padrone americano non si può dire di no, anche a costo di calpestare i propri interessi nazionali. L’Italia ne costituisce il più illuminante esempio.

 

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