La UE e la globalizzazione vogliono sradicare i giovani
Tra i tanti, quotidiani, attacchi che vengono fatti allo “Stato sociale” e alle comunità nazionali, arriva l’ultima “scomunica” da parte degli organismi internazionali, tramite un’indagine statistica di “EUROSTAT”, l’istituto europeo di statistica.
Secondo questi dati, in Italia il 60% dei disoccupati tra i 20 e 34 anni non è disposto a trasferirsi dal suo luogo di residenza per trovare lavoro. E questa percentuale ha subito fatto gridare allo scandalo, riprendendo i vecchi concetti dell’italiano ”mammone”, tutto casa, chiesa e piazza del paese.
Ma questo dato va analizzato e commentato.
Innanzitutto guardiamo la parte del bicchiere mezzo pieno, non solo quella vuota: se la percentuale è del 60%, vi è quindi un altro 40% che invece è disposta a spostarsi per trovare lavoro. E questa non è una percentuale irrisoria.
Poi, va fatto il confronto con gli altri Paesi: la media europea è del 50%, e in questa classifica ci batte l’europeista e cosmopolita Olanda con il 69% di contrari allo spostamento. Quindi, lo scandalo italiano si riduce ad un 10% di differenza in più rispetto alla media europea.
Ma quali sono le cause di questo “blocco” residenziale? Si sa, sarebbe inutile ripeterlo, ma i grandi organi di stampa e i media televisivi non lo dicono. Trasferirsi in un’altra regione italiana per trovare lavoro significa dover cercare innanzitutto un’abitazione e poi avere anche quell’assistenza casalinga che la famiglia d’origine fornisce: in altri termini, pagare un affitto e magari una collaboratrice domestica, o vivere in pensione, ed andare alla mensa quasi tutti i giorni. Tutte cose che costano, e che non si possono affrontare con i modesti guadagni che oggi il cosiddetto “mercato del lavoro” offre ai giovani.
Ma vi è di più. Poiché i lavori oggi sono prevalentemente “precari”, ossia a tempo determinato se non peggio, anche un giovane disposto a spostarsi non ha poi la certezza, al di là dei sacrifici economici sopra esposti, di poterci rimanere, in quel lavoro: e allora che fa, ritorna indietro o va in un’altra città, ricominciando da capo?
Però, poiché “tutto si tiene”, questo allarme e questa spinta al trasferimento ha una logica, del tutto conseguente al sistema capitalistico della globalizzazione il quale non vuole persone radicate sul luogo natio (la “Madre Patria”, si diceva una volta) con le sue tradizioni culturali, sociali, religiose, familiari, alimentari: l’uomo “sradicato”, il “migrante” a vita, è l’essere più adatto a fungere da strumento per l’apparato produttivo e speculativo internazionale, allo scopo di eliminare nel suo animo e nel suo fisico ogni aspirazione o modo di vivere diverso dal lavoro fine a sé stesso.
E questa spinta a spostarsi dalla propria regione di residenza è speculare allo spostamento di centinaia di migliaia di persone dai natii continenti africani o asiatici verso l’Europa.
Un’analoga induzione allo sradicamento deriva anche dal cosiddetto “progetto Erasmus”, per inviare studenti in giro per l’Europa insegnando loro che non esiste più l’appartenenza nazionale: ma questo è un altro argomento che andrebbe ulteriormente sviluppato.
L’UGL, celebrando il 23 marzo 2018 il 68° anniversario della fondazione della CISNAL, ha lanciato il progetto di un “contratto collettivo di comunità”, coinvolgente non solo l’azienda interessata ma anche l’indotto ad essa collegata e, soprattutto, il Comune o la Regione dove è situata. Potrebbe essere una risposta indiretta alle migrazioni forzate (e alle delocalizzazioni produttive).