La vittoria dei globalisti in America non sarà quella che si aspettavano

 

La vittoria dei globalisti in America non sarà quella che si aspettavano

Il confronto avvenuto negli Stati Uniti fra i due candidati, il presidente Donald Trump e il democratico Joe Biden, non è stato soltanto un duello elettorale ma qualche cosa di più sostanziale.  Si tratta di una lotta serrata fra due componenti americane, quella dei nazionalisti e quella dei globalisti: una lotta tra due visioni del mondo. Uno scontro tra due oligarchie economiche che rappresentano settori diversi. Da un lato i nazionalisti, lavoratori, operai e ceto medio, che si definiscono patrioti, legati all’idea della America First, che hanno interessi su lavoro, industrie e attività prevalentemente radicate negli States, dall’altra parte la borghesia e il ceto cosmopolita legato alle grandi multinazionali, alle banche, agli organismi finanziari, ai media mainstram. Due mondi in netto contrasto di visione ideologica.

Questa lotta avviene in una superpotenza in declino che fino a poco tempo fa modellava il mondo a sua immagine e somiglianza.

Il fronte globalista ha sostenuto la candidatura di Joe Biden e, al momento, sembra aver prevalso anche se ci sono forti indizi di brogli elettorali.

A prima vista sembra che il nazionalista, Donald  Trump, stia perdendo contro il globalista Biden; la visione patriottica dell’America pare stia cedendo il passo di fronte al  globalismo, un’ideologia  che tende a livellare  tutto e tutti, in cui non c’è posto per patria, famiglia ed etica tradizionale. Nonostante le apparenze, è il globalismo che ha perso terreno.

Anche se Biden avrà la presidenza negli USA, sarà difficile togliere di mezzo Trump, ma – cosa più importante – sarà impossibile cambiare la direzione della storia. Non solo in America, ma in tutto il mondo. Sta risorgendo prepotentemente l’idea degli Stati Nazionali, quelli che il globalismo considerava superflui.

La globalizzazione di fatto vede una battuta di arresto; il suo percorso verso un Nuovo Ordine Mondiale sembra ormai compromesso.

Il paese che più aveva dato impulso alla globalizzazione oggi soffre una fase di declino economico e politico, perdendo influenza sul resto del mondo con l’emergere di nuove superpotenze. I sostenitori del liberismo hanno fatto un errore: le superpotenze emergenti non considerano l’America un modello da seguire.

Negli stessi Stati Uniti sono esplose varie contraddizioni che sono aumentate costantemente, a partire dal crollo dell’URSS, quando i globalisti arrivarono a credere nella loro capacità di costruire un “nuovo mondo” a un ritmo accelerato. In breve tempo è esplosa la rivolta dei ceti popolari, che si oppongono alla globalizzazione che ne ha compromesso lo status sociale.

Il fenomeno Trump, pur collegato con un’oligarchia economica, rappresenta gli isolazionisti (quelli che credono che l’America dovrebbe preoccuparsi prima di tutto di sé stessa). Trump, nonostante sia un miliardario e una star televisiva, è completamente estraneo all’establishment americano. Per questo ha rappresentato gli interessi delle classi che si oppongono al globalismo.

Con le elezioni di questo novembre è venuta fuori l’America che non ci sta alla globalizzazione, un’America che, piaccia o no, rappresenta oltre settanta milioni di elettori e non sarà possibile continuare a mantenerla emarginata.

Sebbene gli USA siano ancora la prima potenza mondiale, il progetto globale del mondo unipolare sta crollando. Il liberalismo ha fatto il suo tempo e si ritorna ad invocare l’intervento dello Stato nell’economia.

In parallelo si è verificata un’ascesa del sentimento nazionale in Europa. Tale fase prosegue, sebbene i globalisti/liberal siano finora riusciti in gran parte a controllare l’ondata del nazionalismo europeo.

Nel mondo sta avvenendo un cambiamento degli equilibri economici e strategici a favore dell’Asia o dell’Eurasia. La costruzione di un nuovo ordine mondiale post-americano sta prendendo velocità.

Il processo è ormai irreversibile grazie allo sviluppo economico e tecnologico del nuovo polo cinese che sta superando l’economia degli Stati Uniti. L’Eurasia, come polo di sviluppo, nel collegamento sempre più stretto tra Mosca- Pechino- Theran, diventa un’alternativa sempre più concreta.

Non sarà possibile tornare indietro, il potere di un’America globalista, sia sul mondo intero che sul suo stesso paese, sta diminuendo ogni anno. Non sarà un processo rapido.

La Storia procede e gli Imperi non sono eterni.

Torna in alto