Le quattro lezioni del vertice di Singapore

 

Le quattro lezioni del vertice di Singapore

L’incontro tra Donald Trump e Kim Jong-Un a Singapore (luogo non casuale e preferito alla Mongolia) ha dimostrato che alcune letture che erano state date della questione coreana dai media sovranisti avevano parzialmente indovinato i termini della questione.

 Prima di tutto l’incontro testimonia che il processo di riarmo perseguito dal governo nordcoreano non era privo di progettualità diplomatica. Esso mirava esattamente (ma ciò lo si era già compreso dai primi passi del percorso con la Corea del Sud) a mettere Pyongyang in una condizione di parità strategica e quindi di negoziare al riparo da eventuali rappresaglie nemiche. In tal senso la strategia di Kim Jong-Un si è dimostrata pienamente clausewitziana, nel solco della trasformazione degli equilibri strategici in posizioni negoziali.

 In secondo luogo il meeting di Singapore chiarisce che il Pivot to Asia (la strategia inaugurata già da Condoleeza Rice nel 2005) non è stato archiviato, ma ricalibrato su esigenze meno assertive. La denuclearizzazione della penisola coreana, nella strategia americana, è uno dei tre modi per “pareggiare” l’influenza cinese nei confronti degli stati e delle società ad essa vicini e quindi mantenerli in una condizione almeno di neutralità. Una Corea del Nord meno chiusa e aperta ad un modello cinese (dirigismo di stato/economia privata) potrebbe, paradossalmente, diventare un polo né filocinese né filoamericano. L’apertura diplomatica (possibile solo facendo uscire dalla “eccezionalità” la Corea del Nord) avrebbe pertanto lo scopo di rompere l’equilibrio statico attuale ed inaugurare una fase di riavvicinamento.

 Da parte nordcoreana, ed è questa la terza lezione da imparare dal vertice di Singapore, è sempre migliore avere più possibilità sul tavolo piuttosto che meno. La parità strategica, lungi dall’essere l’obbiettivo, è stata la precondizione alla possibilità di scegliere più vie. Le riforme di Kim Jong-Un (improntate ad un lento scivolamento verso un sistema cinese temperato) hanno bisogno di un ventaglio aperto di relazioni paritarie, ed è questo il motivo per il quale Singapore non ha raffreddato in alcun modo i solidi legami con Mosca e Pechino ma li ha, in questa, anzi rafforzati. Il cambiamento in atto nella Corea del Nord riflette un cambiamento necessario nel contesto internazionale, secondo l’idea (pienamente marxista) che cicli più ampi (ascesa cinese e scontro con gli USA) rafforzano od indeboliscono cicli interni (Ciclo delle riforme nordcoreane).

 Il quarto rinvenimento circa l’incontro di Singapore è che, strategicamente, questo rafforza tanto Kim Jong Un (che incontrerà Bashar Al-Assad in Corea del Nord, forse il 30 giugno, e che verosimilmente riaffermerà il suo appoggio alla alleanza siriano-iraniana in caso di intervento occidentale) quanto Trump, che dovrà blindare il congresso americano alle elezioni di Mid-term questo novembre. Un incontro con Kim Jong Un, se non calmerà la sinistra liberal americana, darà il segno di una svolta realista nella politica estera, e salverà il senso delle minacce di questi due anni. Evitato il pantano del “Dead Walking President”, Donald Trump potrebbe ripartire da Singapore con idee più radicali per la Corea del Nord, magari volendo specificare cosa significhi esattamente quella “Denuclearizzazione” di cui lo stesso accordo parla.

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