Le rivolte contro i governi neoliberisti in America Latina, un segnale anche per l’Europa

 

Le rivolte contro i governi neoliberisti in America Latina, un segnale anche per l’Europa

Il fallimento della Globalizzazione sta determinando effetti a catena che producono sostanziali rivolgimenti dell’ordine mondiale prefigurato dagli ideologi del “nuovo secolo americano”.  Nell’attuale equilibrio divenuto ormai tripolare, costituito da USA / Russia / Cina, si riflette l’agonia del neoliberismo globale, che vede scatenarsi rivolte in varie parti del mondo ma concentrate in America Latina.

Sembrerebbe a prima vista un essenziale scontro di globalisti contro nazionalisti che avviene anche in Europa: il Brexit nel Regno Unito, i gilet gialli in Francia, la fine della Merkel, le proteste contro le migrazioni in vari paesi.

Nel nuovo (non) ordine globale in corso, le vecchie categorie sinistra / destra sono state distrutte mentre il mondo si è fratturato nella dicotomia sovranismo contro globalismo o, se vogliamo, statalismo contro il neoliberismo.

Lo scoppio delle rivolte in America Latina è un fatto nuovo che dimostra quanto sia grande il disagio di masse popolari e ceti medi, proletarizzati dal sistema neoliberista, che oggi viene apertamente contestato.

Non è casuale che le rivolte siano partite dal Cile e l’Argentina, paesi che rappresentavano il cortile di casa degli USA. Un segnale importante anche per l’Europa che subisce lo stesso tipo di politiche attraverso la UE.

Le masse popolari e giovanili nei paesi latinoamericani si sono mobilitate rapidamente grazie alle reti cibernetiche, acquisendo una coscienza sociale che oggi inizia a preoccupare le oligarchie finanziarie dominanti.

Oggi l’America Latina sta vivendo un’imponente rimilitarizzazione: dall’avvento al potere in Brasile dell’evangelista, Jair Bolsonaro, fino al recente colpo di stato polizia / militare / mediatico   in Bolivia.

In Brasile 22 membri del gabinetto di Bolsonaro sono militari e il vice presidente è il generale in pensione Hamilton Mourao.

La rimilitarizzazione brasiliana ha una connotazione “sui generis” con una maschera “democratica”, mescolata al radicalismo neoliberista del suo ministro dell’economia, Paolo Guedes: un allievo dei Chicago Boys.

In Cile, paese modello del sistema neoliberista, il crollo di questo sistema ha portato a una rivolta della nuova generazione che ha costretto il presidente, Sebastián Piñera, a decretare lo stato di emergenza.

In Perù, il presidente Martin Vizcarra ha sciolto il Congresso e governa con ampio sostegno dal suo esercito.

In Ecuador, le proteste vulcaniche dei giovani hanno costretto un coprifuoco, gestito dall’esercito, nella capitale Quito, per sostenere il presidente Lenin Moreno, fantoccio degli USA, che è dovuto fuggire a Guayaquil.

Insomma, i governi dell’America Latina sopravvivono se godono del sostegno dell’esercito, come in Venezuela, o vengono rovesciati, come in Bolivia, dove l’esercito e la polizia, sponsorizzati da Washington, hanno costretto alle dimissioni il presidente Evo Morales.

Il caso del Venezuela è unico: nonostante le sanzioni degli Stati Uniti – che cercano di mettere le mani sul petrolio e sulle riserve minerali – il presidente Maduro è stato in grado di aggirare le rivolte e le auto-proclamazioni come quella di Juan Guaidó, grazie al sostegno dell’esercito nonostante  le minacce della CIA.

Il potere globale degli Stati Uniti è passato al contrattacco in Bolivia dove, guarda caso, sono presenti le maggiori risorse minerarie, inclusi i preziosi giacimenti di litio, essenziali per le batterie dei motori elettrici, quelle che Evo Morales, il presidente deposto, voleva nazionalizzare. 

Anche in Bolivia si è autoproclamata una presidente, Jeanine Áñez. La Bolivia completa il quadro della militarizzazione del continente Latino americano che deve fare fronte a rivolte di massa della popolazione indigena che difende la sua identità e rifiuta i globalizzatori e neoliberisti.

Bisogna poi considerare che le convulsioni in America Latina avranno un impatto enorme sulle elezioni statunitensi del novembre 2020, data la forte presenza  di “latinos” che votano negli States (58 milioni circa).

Il quadro delle insurrezioni popolari ispira la speranza di un cambiamento sostanziale. Tuttavia senza un progetto organizzato e una guida accurata, le rivolte rischiano di essere schiacciate. Il neoliberismo, il peggior nemico per i popoli, è ancora saldamente radicato. Nonostante questo la lotta prosegue.

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