Di Luciano Lago
L’amministrazione USA rischia grosso nel Medio Oriente, questo per aver puntato tutto sulla “Pace di Abramo” (gli accordi tra Israele e i paesi arabi filo occidentali) e per aver sostenuto le scelte più nefaste del governo Netanyahu, con la possibilità molto concreta di un incendio in tutta la regione a causa della rivolta dei paesi arabi e islamici contro gli Stati Uniti supporter di Israele.
Sembra chiaro che l’incendio sarà propagato dalla rabbia delle masse arabe che sarà rivolta contro Israele e contro gli Stati Uniti, complici del genocidio a Gaza, contro gli alleati occidentali, in primis i paesi europei che hanno sostenuto lo sterminio praticato da Israele e negato la tregua umanitaria nel conflitto.
L’ennesimo fallimento dell’Amministrazione USA, dopo quello in Ucraina e il precedente dell’Afghanistan, sarà quello che costerà non solo il posto al vecchio, patetico, incompetente John Biden, di cui molti hanno fretta di liberarsi. I suoi fallimenti sono pari al livello di corruzione di lui stesso e del figlio, Hunter Biden, che sono entrambi già sotto inchiesta. I suoi referenti interni sono già pronti a mollare ed a trovare un sostituto da presentare come candidato del Partito Democratico.
L’Amministrazione USA si trova in questo momento tra due fuochi: da una parte il sostegno incondizionato a Israele, preteso dalla lobby filo-sionista interna, mentre dall’altra parte la rabbia delle masse dei paesi arabi e islamici, inclusi i vecchi alleati degli USA come la Turchia, una rabbia che sta facendo crescere in maniera incontrollata l’odio verso l’America che è il patrocinatore di tutte le nefandezze ed i crimini di Israele.
Il protarsi dei bombardamenti e la crescita del numero delle vittime a Gaza, bambini e donne in numero preponderante, renderà insostenibile la posizione degli Stati Uniti che andranno a perdere qualsiasi influenza nello scacchiere Medio Orientale, tanto meno la pretesa di imporre il proprio modello di sistema e la propria ideologia liberal dell’eccezionalismo americano.
Non basta presentarsi nell’area con grandi portaerei e una possente flotta aeronavale, non bastano le proposte di finanziare i governi arabi islamici moderati come Egitto, Giordania e Turchia per svolgere un ruolo di mediatori, il rifiuto e la porta sbattuta in faccia a Biden e al segretario Blinken, al primo dal re di Giordania e al secondo da Erdogan, rappresenta un campanello d’allarme per Washington. I governi arabi e islamici non vogliono trovarsi a fare da parafulmine della rabbia popolare anti americana ed anti Israele che sta esplodendo ovunque.
Seguire le orme di Netanyahu e fornire a questo appoggio incondizionato dimostra la cecità della politica estera di Washington, la sua incapacità di formulare proposte credibili, nella presunzione che gli accordi economici e commerciali fatti con i governi arabi moderati potessero surclassare e far occultare la questione palestinese. Al contrario l’esplosione della “Tempesta di Al Aqsa” ha fatto riemergere in primo piano la questione Palestinese davanti agli occhi del mondo e i crimini commessi dal duo Israele Stati Uniti ha dato il colpo di grazia a tutti i discorsi sui “diritti umani” e “valori dell’Occidente”. Il doppio standard dell’Occidente confrontato con la guerra in Ucraina e le tante menzogne diffuse dalla propaganda è ormai sotto gli occhi di tutti.
Il “re è nudo” e il sud del mondo lo ha compreso in modo chiaro. La lista dei paesi che rompono i rapporti diplomatici con Israele a seguito del genocidio di Gaza si allunga sempre di più, dalla Colombia al Venezuela, al Cile, alla Turchia, al Sud Africa ed altri a seguire.
Nel frattempo accadono fatti importanti come la riunione tenutasi ad Algeri, nell’ottobre del 2022, delle varie fazioni palestinesi che si sono ufficialmente riconciliate fra loro. Gruppi di ispirazione islamica o laica, come Hamas, la Jihad islamica o il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP), queste organizzazioni si sono unite sulla base della causa palestinese al di là delle loro differenze religiose e ideologiche. Questi sono i rami armati dei gruppi della resistenza palestinese che operano a Gaza e in Cisgiordania. Le vecchie ruggini e le diatribe, quelle che in passato li dividevano, sono state superate nella lotta contro il comune nemico.
Nello stesso tempo inizia ad emergere il piano segreto di Israele, appoggiato dagli strateghi di Washington, di una deportazione forzata della popolazione palestinese di Gaza verso l’Egitto e della Cisgiordania verso la Giordania, con generose contropartite finanziarie a questi due paesi (cancellazione debito pubblico, finanziamenti, ecc..). Se i governi arabi di questi paesi vorranno suicidarsi, la porta è aperta, ma possiamo dubitare che questo accada.
I tentativi diplomatici dei plenipotenziari americani, da Blinken a Sullivan, Austin e altri, di convincere i governi arabi ad accettare il piano, cozzano contro un muro e rivelano l’atmosfera di panico e frenesia che ha preso possesso dei funzionari americani che vedono scivolare il loro potere di influenza e di dirigere il gioco in Medio Oriente. Nello stesso momento arrivano notizie dei passi della Russia e della Cina di occupare il vuoto lasciato dagli americani nell’area. La Russia ha la capacità di dialogare con tutti e viene accettata come mediatore, altrettanto la Cina che ha posto in essere la sua forte capacità economica per la ricostruzione dei paesi colpiti dalle guerre americane, come la Siria e l’Iraq. Ultima pessima notizia per l’Occidente è quella della prossima apertura di una base navale Russa in Libia, in accordo con il generale Haftar.
Il mondo multipolare avanza inesorabilmente mentre gli strateghi americani masticano amaro per l’ennesimo fallimento.