Sarà inevitabile una guerra in Medio Oriente
Dopo l’omicidio commesso a Baghdad dagli statunitensi, il 3 Gennaio, ai danni del generale Qassem Soleimani e di Abu Mohammad al-Mouhandis e la successiva rappresaglia iraniana sulle basi militari USA in Iraq, le prospettive sono cambiate in Medio Oriente.
Tutto indica che l’eliminazione fisica del generale iraniano Soleimani era stata decisa già da tempo da Mike Pompeo, il segretario di Stato USA, e Benjamin Netanyahu, il bellicoso premier israeliano. Risulta infatti, dalle inquietanti confessioni del Primo Ministro iracheno uscente, Adel Abdul Mahdi, che il momento favorevole per l’omicidio è arrivato con la missione diplomatica affidata al generale che ha fatto cadere Soleimani nella “doppia trappola” che Netanyahu e Pompeo avevano preparato per lui.
Da quel momento si è avuta una svolta con la percezione della guerra aperta fra USA e Iran e con la gravissima violazione della sovranità dell’Iraq, che avrebbe dovuto ospitare a Baghdad l’incontro di mediazione fra l’incaricato iraniano ed un rappresentante dell’Arabia Saudita. “Mi hanno ucciso l’ospite che noi stessi avevamo invitato”, ha dichiarato il premier iracheno, che ha avuto il coraggio di denunciare il comportamento da gangster attuato dall’Amministrazione Trump, in flagrante violazione di qualsiasi norma di diritto internazionale e degli accordi presi con il governo di Baghdad.
Le false affermazioni di Trump che si è vantato di aver fermato un presunto piano di attacco che il generale Soleimani avrebbe avuto contro le ambasciate USA, piano fra l’altro smentito anche da altre fonti del Pentagono, sono un goffo tentativo di prefabbricare una giustificazione.
Tuttavia l’operazione cinica e brutale con cui è stato eliminato uno dei massimi capi delle forze iraniane apporta delle conseguenze che non saranno tanto favorevoli alla strategia USA.
Non si può ignorare che in Iraq, teatro dell’azione statunitense-israeliana, il Parlamento iracheno, a maggioranza sciita, si è riunito subito dopo l’evento ed ha richiesto il ritiro di tutte le truppe straniere dal paese.
L’Amministrazione USA ha respinto questa richiesta e, cosa ancora più grave, ha minacciato il governo di Baghdad di attuare sanzioni e di bloccare i fondi detenuti presso la Federal Reserve negli USA.
Tanto meno si può sottovalutare la voglia di vendetta e l’aperta dichiarazione di ostilità fatta da tutte le forze delle milizie sciite presenti in Iraq e fortemente armate, le Forze di Mobilitazione Popolare e Hezbollah irachena, che hanno giurato di far rientrare i soldati USA nelle bare se si ostineranno a rimanere nel paese.
Sulla base di questi fatti, si può indovinare quali saranno le prossime mosse dell’Amministrazione Trump.
La guerra con l’Iran non sarà per adesso una guerra aperta. Washington continuerà a cavalcare il malcontento di settori popolari della società iraniana causato dalla crisi economica e dalle sanzioni.
Il vero scenario degli scontri aperti sarà in Iraq dove permangono le forze USA e dove Washington cercherà di attuare il piano di balcanizzazione, già fallito in Siria, separando le zone sunnita e curda dal resto del paese.
Due elementi importanti confermano le intenzioni ostili degli Stati Uniti nei confronti dell’Iraq e dell’intera regione: l’annuncio da parte del segretario di stato americano di un piano per espandere la presenza della NATO in Iraq, e la dichiarazione di Donald Trump su Fox News che se l’Iraq avesse insistito sul ritiro delle forze statunitensi, avrebbe dovuto rimborsare gli Stati Uniti per gli investimenti effettuati nelle basi del paese negli ultimi anni.
Il vecchio progetto di balcanizzazione in 3 parti su base religiosa ed etnica dell’Iraq, è ancora un progetto attuabile, mirando a dividere arabi sciiti pro-iraniani, arabi sunniti pro-sauditi e gruppi curdi.
Creare uno stato curdo indipendente da Baghdad sarà la strategia primaria degli USA e per attuarla non esiteranno a rimettere in campo l’ISIS, un’organizzazione utilissima per giustificare la presenza delle truppe USA nel paese.
Sarà una guerra lunga che vedrà da una parte le forze USA in Iraq e dall’altra le milizie sciite e filo iraniane ma possiamo indovinare che questo scontro scatenerà un conflitto aperto più profondo.
L’attacco iraniano sulle basi USA ha rivelato inaspettate capacità tecnico militari dell’Iran che gli strateghi di Washington avevano sottovalutato. Trump ha minimizzato le perdite ed i danni ma si è saputo dopo che ci sono state e notevoli. Se gli USA vorranno contrastare una rivolta anti-americana del mondo sciita dovranno mettere in campo molte forze di terra. L’opinione pubblica negli USA non è detto che lo consentirà.
Ci sono molte incognite: bisogna aspettare e vedere se questo mondo sciita si mobiliterà in forze per contrastare la strategia di USA e Israele. In Siria la partita è stata vinta dalle forze del denominato asse della resistenza, in Iraq, in Libano e in altri paesi la battaglia inizierà molto presto.
Una cosa è sicura: lo scenario in Medio Oriente non è più favorevole per le mire egemoniche dell’Impero USA.