Come preannunciato dal segretario generale degli “Hezbollah” libanesi, Hassan Nasrallah, si è saputo che “il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha sollecitato Washington nel procedere a nuove eliminazioni, ovvero a omicidi mirati degli oppositori del dominio di USA/Israele nella regione, fra cui lo stesso Nasrallah, quale capo del movimento Hezbollah, uno dei bastioni delle forze di resistenza”.
Nasrallah ha aggiunto: “L’Arabia Saudita ha istigato il mio assassinio per molto tempo. Sappiamo che prendere di mira i leader di Hezbollah è un obiettivo comune israeliano, americano e saudita”.
Le parole di Nasrallah confermano ciò che si era da tempo compreso della strategia degli Stati Uniti e di Israele in Medio Oriente: procedere agli omicidi mirati degli oppositori nel tentativo di decapitare le forze della resistenza.
Gli Stati Uniti assassinano chiunque sia visto come una minaccia al proprio disegno egemonico.
Rientra in questo la lunga lista di eliminazioni di esponenti di Hezbollah, dei palestinesi e, all’inizio di quest’anno, è stato assassinato il generale iraniano Qasem Soleimani, figura eminente delle forze congiunte della resistenza.
In Novembre, il Mossad israeliano ha assassinato lo scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh ulteriore prova di questa strategia di USA e Israele che punta anche a eliminare i progressi tecnologici dell’Iran.
Gli “esportatori di democrazia” non si fanno scrupoli dell’attuare omicidi di esponenti che sono considerati non allineati agli Stati Uniti; lo stesso Trump ha confessato di avere avuto un progetto di assassinare il presidente siriano Bashar al-Assad ma di averlo poi scartato.
Tuttavia questo sistema di omicidi mirati non sempre paga, ma a volte riesce a creare martiri che diventano miti che infiammano popoli e combattenti e li rafforzano nella loro determinazione di lottare contro le forze occupanti.
Come nel caso dell’omicidio del generale Qasem Soleimani effettuato dagli Stati Uniti nel gennaio presso l’aeroporto di Baghdad, assieme a Abu Mehdi al-Mouhandis, vicecomandante delle forze irachene. Un barbaro omicidio che ha creato una serie di reazioni molto forti e molto negative in tutto il Medio Oriente.
Il generale Soleimani ha avuto un ruolo fondamentale nel disinnescare le trame di Washington e di Tel Aviv nel Medio Oriente e nel determinare il fallimento della strategia americana di balcanizzazione della regione. Questa strategia, concepita dagli strateghi di Washington, come loro stessi hanno dichiarato, tendeva ad avere il dominio della regione e faceva leva sui gruppi terroristi jihadisti, al Quaeda , al-Nusra, Jabhat Fatah Al-Sham, ISIS e altri, come vere e proprie truppe mercenarie con il compito di destabilizzare la Siria, l’Iraq e il Libano.
Per questo motivo, con una classica azione da terrorismo di Stato, gli statunitensi hanno assassinato il generale Soleimani e i loro compagni, bombardando i loro veicoli il 3 gennaio.
Il Pentagono che si è assunto la responsabilità dell’attacco, dopo aver attirato il generale ed il suo staff in una trappola, mascherata da trattativa diplomatica, in violazione di qualsiasi regola di diritto internazionale.
Il generale Soleimani viene visto oggi come un martire, come la figura chiave che aveva sconfitto l’ISIS (Daesh) , il gruppo terroristico più famoso del mondo che contava complicità con i servizi di intelligence di USA, Gran Bretagna e Arabia Saudita; complicità confessate da molti esponenti fra i quali l’ex premier del Qatar e confermate dalle e-mail desecretate di Hillary Clinton.
Tuttavia l’Imperialismo americano ed il sionismo suo alleato hanno fallito i loro calcoli e non hanno considerato le conseguenze della loro azione omicida: l’indignazione e l’accresciuta volontà di resistenza contro i dominatori del mondo. Così popolo e parlamento iracheno hanno richiesto, con manifestazioni di massa, il ritiro delle forze occupanti americane e in tutta la regione si chiede di mettere fine al saccheggio della Siria, dello Yemen, della Palestina.
La figura ormai mitica del martire Qasem Soleimani infiamma ed ispira le lotte dell’Asse della Resistenza e rappresenta un mito per i combattenti ed i popoli anche al di fuori dei confini della regione. Un esempio di combattente ed eroe che Washngton non riuscirà a far dimenticare.