Alcuni “invisibili” in trincea contro il Covid-19
Il Veneto è stato tra le prime regioni colpite da provvedimenti in merito alle strategie di contenimento da contagio per Covid-19. Come accade tuttora in tutto il territorio nazionale varie realtà centrali, per esigenze minime basilari dei cittadini, hanno dovuto garantire la funzionalità pur consapevoli di mettere così a rischio i lavoratori esposti in prima linea al fine di cooperare alla cura per la persona, la salute e il sostentamento della popolazione. Anche i farmacisti, che ne dicano polemiche sterili su “casta e privilegi”, rientrano tra il personale sanitario esposto al rischio di contatto dovuto all’andirivieni continuo di clienti. Pericolo incessante da quando la pandemia è esplosa nel Paese, obbligando a misure organizzative stringenti come le distanze di sicurezza e l’ingresso fino a un massimo di tre persone per volta all’interno della farmacia. Nonostante esponenti politici di varia appartenenza abbiano speso parole di gratitudine nei confronti del settore, come accaduto per diversi profili sanitari operativi, anche in questo caso gli stessi operatori hanno dovuto spesso raffazzonare autonomamente materiale protettivo per poter far fronte ai ritmi di lavoro incessante. Non solo, anche distribuzione e rifornimenti sono stati oggetto di improvvisazioni caotiche dovute alla scarsità e a disagevoli situazioni di reperibilità, il che non ha risparmiato il loro operato da pungenti accuse o controversie incuranti del rispetto per chi, come molti altri, mette il bene altrui prima del proprio. Vi sono perciò due fattori che dovrebbero contribuire alla riflessione. Il primo è il diritto alla salute, che non si presta a univocità bensì alla reciprocità, atteggiamento per il quale anche l’ordine dei farmacisti, in modo particolare nella presente situazione, abbisogna di sicurezza e sostegno al fine di poter svolgere il proprio compito al meglio per il maggior bene possibile dei pazienti che vi si rivolgono; in secondo luogo la reazione pubblica quando subentra una crisi (ancor più se mediaticamente confusa e intrisa di “med-google” con buona pace del decennio di studi universitari dei professionisti sanitari!) è schizofrenica con ricadute plurime su imprese e rapporti umani.
Veniamo dunque a qualche domanda posta alla Direttrice di una farmacia veneta nel raccontarci come ha vissuto queste ultime settimane.
La situazione innescata con la pandemia da Covid-19 ha letteralmente messo in ginocchio la struttura sociale, dalla famiglia alla comunità economica e politica. Come avete vissuto l’implodere della situazione a livello collettivo nella vostra realtà farmaceutica?
Anzitutto grazie per l’opportunità di testimoniare dalla prospettiva estremamente locale, nel senso che ogni realtà comunale, piccola o grande che sia, vive il contatto diretto con la propria farmacia che spesso si presta a luogo di sfogo o conforto. Commentare è difficile: ciò che noi abbiamo visto è lo scatenarsi del panico più totale. La nostra sede è stata letteralmente presa d’assalto già sabato 22 febbraio, quando social, notiziari, politica e sanità iniziavano a informarci dello stato di allarme. La reazione delle persone si può suddividere in due grandi gruppi: una fascia consistente di soggetti presi dal panico e intimoriti che richiedevano scorta di mascherine, disinfettanti, alcool, igienizzanti spray per l’ambiente, qualsiasi cosa potesse fungere da “protettivo”; e un secondo gruppo influenzato dalla banalizzazione del problema, increduli e più favorevoli all’idea che ci fosse qualche interesse di natura politico-economica. In generale, la maggior parte dei clienti chiedeva spiegazioni, voleva sapere il grado di pericolosità ed erano sostanzialmente spaesati. Nei loro volti dietro la frenesia per riuscire a procurarsi una mascherina vi era enorme bisogno di essere rassicurati da qualcosa che non erano in grado di cogliere in maniera chiara, per via di quella che molti hanno definito “infodemia”. C’è stato, a mio avviso, un continuo rimbalzare tra pareri diametralmente opposti: persone assolutamente autorevoli che proponevano una lettura blanda facendo passare il messaggio di una banale influenza. Questo, inutile nasconderlo, ha creato il caos a più riprese e il caos, si sa, genera ansia e atteggiamenti irrazionali. Le persone hanno iniziato a credere a tutto e a tutti, quindi di fatto a nulla; ad esempio, non appena qualcuno ha sparso la notizia che la Vitamina-C presa ad altissimi dosaggi dava buoni risultati nei malati colpiti da Covid-19, si è scatenata la corsa all’acquisto dell’acido ascorbico. Da parte nostra abbiamo avvertito chiunque di non credere a fake news di fin troppo facile propagazione sul web riguardanti tale sostanza, ricordando che la Vitamina-C è da sempre nota come ottimo antiossidante, come integrazione preventiva verso qualsiasi agente patogeno, etc. Banalità probabilmente, eppure la comunicazione con i pazienti era comprensibilmente interrotta dal sovraccarico di notizie che impediva di rendere davvero influenti le opinioni professionali. Per concludere mi sento di dire che stiamo vivendo un momento in cui il pericolo sembra microscopio, in realtà è il più grande che si sia mai visto perché nella sua invisibilità sta togliendo tutto: la libertà, gli affetti, la salute, il lavoro e ad alcuni, davvero troppi, la vita.
Spesso la vostra è considerata una “casta” ed è forse una delle ragioni per cui questa categoria professionale è così poco salvaguardata, eppure anche voi state operando in trincea a contatto continuo con pazienti, anziani, operatori sanitari, chiunque. Vi sentite tutelati? Avete avuto risorse sanitarie statali a vostra disposizione per proteggervi?
Siamo stati e siamo tuttora in prima linea. Siamo sotto pressione sia fisica che psicologica, abbiamo a che fare con clienti di tutte le età e di tutte le condizioni psicofisiche: da soggetti che, come dicevo, non credono ci sia veramente il Covid-19 definendolo una farsa politica e, per tale ragione, ritengono opportuno presentarsi senza protezione alcuna né accorgimenti; fino ad arrivare a clienti che vittime del caotico nulla trasmesso con chiarezza informativa si rifiutano di toccare la tastiera del bancomat per il pagamento. Una piccola premessa per dire che la situazione sociale è già molto complessa da gestire e a gravare su di essa la tensione che noi stessi proviamo a causa dell’assenza di tutela dalle istituzioni e per dover improvvisare sistemi di difesa per la salute quando vengono meno i materiali idonei, o per capire come far rispettare le normative ed entrare in dialogo anche con i più anziani che non di rado faticano a comprendere appieno la gravità della situazione. Il sostegno degli enti adibiti a rappresentarci e che percepiscono sovvenzioni annuali da ogni farmacista iscritto all’ordine non si è palesato inviando guanti, mascherine in quantità anche solo simboliche e non ci sono giunti fondi di copertura per predisporre barriere in plexiglass, ad esempio. Al di là della polemica e dell’incidenza burocratica in merito, noi siamo persone e professionisti esposti completamente; ci rendiamo volutamente vulnerabili per fare del nostro meglio non per gli elogi, ma per tutelare la salute della popolazione. Sotto questo profilo ci uniamo allo sdegno di medici, infermieri e operatori sanitari emerso in tutte le toccanti testimonianze diffuse sul web.
So che pochi giorni fa siete stati una delle poche sedi con rifornimento di mascherine e che ciò ha visto una “corsa agli armamenti” da parte di privati, ma soprattutto di enti di cura. Quali sono state le testimonianze/richieste che più ti hanno colpita?
Sì, siamo stati una delle prime (se non la prima) farmacie della nostra zona ad avere un considerevole rifornimento di mascherine, dalle semplici chirurgiche a quelle ad alta protezione definite FFP2. La ricerca è stata dura, nessun rifornitore le garantiva visto che per la maggior parte erano importate da altri paesi europei che, ahimè, iniziavano a chiudere le frontiere. Siamo riusciti a trovarle pagandole a peso d’oro e questo ci tengo a sottolinearlo poiché, come è accaduto per svariate realtà equivalenti, siamo stati definiti degli sciacalli a tal proposito. I fornitori (quei pochi che avevano dispositivi) hanno alzato il costo del prodotto a cifre indicibili e, oserei dire, disumane vista la situazione. Quel che abbiamo dovuto fare (non avendone di gratuite a nostra disposizione da consegnare alle persone) è stato rincararle del minimo possibile avvisando la lista lunghissima di nominativi che ci aveva contattato in preda alla disperazione che eravamo una delle pochissime farmacie con qualche migliaio di mascherine a disposizione. A medici e forze dell’ordine abbiamo deciso di regalarle poiché erano privi di protezione e stavano mettendo in gioco la propria salute, la propria vita in prima linea, come noi.
La cosa che più ha colpito me e i miei colleghi è stato come la maggior parte delle richieste arrivassero da medici di base e non, infermieri, case di riposo, tutti lasciati senza dispositivi o comunque con scorte oramai esigue. Tutte persone che dovrebbero essere state rifornite quantomeno di mascherine FFP3, cioè quelle tra le più sicure! Al contrario si sono ritrovati privi di qualsiasi dispositivo di protezione e assistere a un tale smarrimento ha scosso empatia, compassione e –mi duole dirlo- anche amarezza in ciascuno di noi. Abbiamo visto personale sanitario, di ogni specializzazione e tipologia, stanco e spaventato. Ricordo un’infermiera del nostro ospedale che è stata “reclutata” per seguire i pazienti affetti da Covid-19: ha parlato della paura che sente, del timore di non essere in grado fisicamente di sostenere dieci o dodici ore di lavoro con le tute protettive che impediscono anche di bere durante il turno. L’angoscia, in contrasto con il senso del dovere, di ammalarsi e dover stare lontana dai suoi figli, pur conscia della chiamata al sacrificio di sé per aiutare il prossimo. Raccontava di come tutta questa schizofrenia di emozioni deve trovare un equilibrio quando ci si trova davanti una partoriente contagiata costretta a parto prematuro alla venticinquesima settimana e ora ricoverata in terapia intensiva. Dico questo per una semplice ragione e con essa concludo: in modo simile, ma professionalmente diverso, rispondiamo tutti al senso del dovere spinti da un bene maggiore, dalla carità e dalla solidarietà, però ognuno vive una solitudine. Una solitudine che disarma perché non solo ci si sente impotenti, ma anche abbandonati. Come medici, farmacisti, infermieri anche la governance politica ha dei doveri ai quali far ritorno.