Guida bioetica per terrestri. Da Fulton Sheen al cybersesso: intervista all’autrice Giulia Bovassi
La nostra carissima Giulia Bovassi torna sulla scena editoriale con un nuovo libro, intitolato Guida bioetica per terrestri. Da Fulton Sheen al cybersesso, edito con Berica Editrice nella collana UomoVivo. Abbiamo letto con piacere il testo e deciso di intervistarla per approfondire le interessanti tematiche trattate nel volume, disponibile nelle librerie (quando riapriranno) e negli e-commerce.
Giulia, il tuo nuovo libro si presenta con un titolo accattivante, una guida di bioetica per “terrestri”. Che cosa significa?
Anzitutto vuol dire che la bioetica non è una disciplina astratta, inarrivabile ed estranea, bensì alla portata di ogni essere umano. Per evitare fraintendimenti voglio sottolineare che ciò non significa che la sua indagine è qualcosa di banale o fondato sul sentire soggettivo, su opinioni più o meno costruite a seconda di un vago sentito dire in merito ad aborto, eutanasia, e affini. Questa, all’opposto, è tra le battaglie che combatto poiché l’interdisciplinarietà, la complessità e il pluralismo che ne caratterizzano lo statuto pretendono formazione accademica e mirata al fine di sapersi destreggiare nel singolo dilemma o caso clinico specifico. Inoltre, affinché il rompicapo morale che la bioetica esige possa costruirsi con architettura solida è imprescindibile maturare pensiero critico e far proprie le nozioni e la metodologia della filosofia morale. Il problema dove nasce? Nel fatto che, come dicevo all’inizio, tutto questo pacchetto deve fare i conti con l’IVG o l’aborto post-nascita, che si compiono entrambi su esseri umani; con il suicidio assistito, che viene compiuto da esseri umani; con fecondazione assistita, maternità surrogata, etc. che avvengono e si consumano da e su esseri umani. Coinvolgono il vissuto più fragile di ognuno di noi, ferite e sofferenze. Ciò suggerisce la necessità di fornire strumenti di orientamento e guida per accompagnare chicchessia tra la fitta coltre di cui sono circondati i dilemmi sopracitati e molti altri. In questo senso il testo, per quanto riguarda la fascia di questioni di bioetica e inizio vita, si propone come crepa nel guscio ostico della disciplina per renderla più vicina alle persone (addette e non addette ai lavori).
Fulton Sheen è senza dubbio uno dei protagonisti più affascinanti del Novecento per ciò che riguarda sia l’ambito del pro-life, sia i mass media, così come anche le grandi rivoluzioni antropologiche che in quel secolo si sono compiute, o hanno avuto inizio e ancora oggi proseguono. Cosa ti ha spinto a prendere come riferimento questo personaggio?
Fulton Sheen è un controrivoluzionario, agglomerato emblematico di ciò che nella società attuale, profondamente sradicata e parcellizzata nell’identità e nei valori, manca. La sua personalità di primo telepredicatore non è apatica né tiepida, tantomeno estranea al cambiamento: egli ha scelto di non restare indifferente alla Verità, riconoscendone l’altitudine somma per sottoporsi al Suo servizio senza compromessi, dimorando la contemporaneità. Che l’adesione a questo decidersi-per-la fede includesse lo sforzo di abitare le nostre contraddizioni e di tenere assieme sacrificio e bellezza, non è stato per lui causa di viltà, nichilismo o adattamento. Fulton Sheen è stato testimone di integrità, coerenza, vigore e speranza, che sono qualità proprie di chi opera dalle radici, non abdicando ad esse.
Parlare di bioetica al giorno d’oggi sappiamo che non è affatto facile, eppure siamo interrogati continuamente, anche nella vita quotidiana, su domande che trovano risposta proprio grazie alla bioetica. Perché, dunque, è tanto importante conoscere la bioetica e diffonderla? Quale apporto gioca nella nostra missione di ricostituzione e propagazione del “pensiero forte”?
Mi rifaccio alle risposte precedenti in quanto sono convinta che il nobile sforzo proteso alla ricerca del vero, del bene e del bello sia ininterrotto e, soprattutto, di dominio comune senza privilegio per alcuni piuttosto che altri e penso che di ciò debba continuare a farsi custode e promotore il risveglio del “pensiero forte”. Siamo in un tempo in cui la persona è divenuta cosa in totale appiattimento antispecista e orizzontale, volutamente privo di metafisica e trascendenza. I risvolti in bioetica sono all’ordine del giorno: dal consumismo affettivo alla liquefazione familiare; la neutralità sessuale, il dispotismo sulla vita e sulla morte; la neo-lingua di cui è rivestita l’eugenetica moderna che tollera tutto meno che la tolleranza verso l’esistenza del non-conforme; distopie Transumaniste e futuri post-umani non più prodotto esclusivo della fantascienza; etc. Tutto questo moto decostruttivista non è iniziato ora e nemmeno finirà oggi, ma può e deve evadere dalla svendita assoluta dei principi non negoziabili, dei diritti umani (quelli originari, non l’abuso che spesso se ne fa oggi) e, in buona sostanza, dalla grave violazione della dignità umana che si propaga globalmente in ogni minuto. Le lacerazioni di cui parla la bioetica invadono i caratteri propri e sacri della nostra natura, gli stessi che oggi vengono perseguitati dal bipensiero che solo la contro-risposta di un pensiero forte può contrastare.
La sessualità è un tema che occupa molte pagine del tuo volume, affrontata in lungo e largo, sia nelle tematiche di inizio e fine vita, sia nella dimensione della sponsalità matrimoniale, toccando anche l’ambito delle degenerazioni come, appunto, il cybersesso. Sull’altro versante, lanci la “provocazione” della castità e parli con forza del matrimonio quale via privilegiata per la realizzazione di sé. Puoi accennarci qualcosa a riguardo?
Sono convinta che la sessualità investita dal “vietato vietare!” abbia perduto gran parte del suo reale piacere (che non è quello erotico ed egotistico), del suo autentico significato e la dimensione di senso che pervade nell’individuo e nell’individuo-in-relazione. La sessualità è stata confusa con l’esercizio sessuale scisso dalla reciprocità: molte sollecitazioni post-moderne, infatti, suggeriscono di ricercare nell’altro un qualunque idilliaco “meraviglioso sessuale” che sia tale per sé, non per l’altro. Riportare la sessualità alla dimensione unitiva e procreativa, propri del concetto “sponsale”, significa restituirle due peculiarità: uscire dall’individualismo per donarsi all’altro; rendere l’uomo e la donna cooperatori e custodi di una potenziale nuova vita. La frequente assolutizzazione del godimento ego-direzionato, esasperato nel cybersesso o nell’uso di sex-robot, rende l’uomo schiavo o padrone delle proprie pulsioni? Lo svende agli istinti o gliene offre i benefici? In questo consiste la rivalutazione della castità, resa tabù aleatorio e indebitamente surclassato da mentalità che non hanno tributato la liberalizzazione tanto propagandata.
L’essere “figlio come eredità universale” è, in un certo senso, la consegna che lasci ai tuoi lettori, ma ancor prima una meta lungo il percorso che permette di intraprendere nuove strade. A cosa ti riferisci e, per concludere, cosa speri che rimanga a chi legge una volta giunto al termine del tuo libro?
Grazie per aver ripreso quell’espressione alla quale tengo molto! Sono d’accordo, vuole essere lascito e indicatore per i lettori: mi riferisco -ed è il cuore del mio testo- alla necessità di tornare al genoma ontologico della nostra identità umana che è figliale. Alcuni sono padri e madri, ma tutti siamo figli e in questo senso la nozione “creaturale” ci appartiene sia in quanto parte di ciò che ci definisce, sia in quanto ciò che ci definisce fa capolinea alla vulnerabilità. Vorrei che ai miei lettori rimanesse questa delicata sensibilità e, con essa, che chiudessero il testo portando con sé la sensazione di aver più chiare le ragioni per cui alcune azioni sono moralmente legittime ed altre no. In particolare però vorrei che da questa illegittimità morale si facessero carico della sofferenza disseminata. Penso sia questa la finalità ultima e la vera vittoria.