Esselunga

Esselunga

«Privata, italiana, soggetta ad attacchi, può diventare Coop. Questo non deve succedere» Questa chiosa è il passaggio finale del testamento di Bernardo Caprotti (1925 – 2016), imprenditore italiano, patron di Esselunga, e “scrittore” di un solo libro, quel “Falce e Carrello” pubblicato da Marsilio Editori nel settembre 2007, che per primo svelò gli intrecci fra “cooperative rosse”, banche e politica, denunciando altresì una politica atta ad ostacolare qualsiasi concorrenza commerciale nelle regioni politicamente amministrate dagli eredi del P.C.I.

Per quell’unica pubblicazione Capriotti fu denunciato per diffamazione, e per “concorrenza sleale”, dando origine a numerosi processi, ed al sequestro di tutte le copie invendute. Il 16 settembre 2011, il tribunale di Milano condannò Caprotti e la sua “Esselunga” per “concorrenza sleale”, sollevandoli dalle accuse di diffamazione. Il 21 dicembre dello stesso anno, però, il giudice della prima sezione civile della corte d’appello di Milano accolse la richiesta di sospensiva presentata da Esselunga contro la precedente sentenza, che aveva disposto il sequestro. In attesa del giudizio di secondo grado, il volume fu ristampato e ridistribuito (gratuitamente) nel circuito commerciale Esselunga. Nell’ordinanza la Corte rilevò, che il ritiro delle copie di “Falce e carrello” aveva: «una sostanziale valenza di sequestro e censura», provvedimenti che possono essere attivati solo in presenza di stampa oscena, o plagio. Il 28 giugno 2012 l’autorità garante della concorrenza e del mercato sanzionò la Coop con 4,6 milioni di Euro per aver «sistematicamente ostacolato i tentativi effettuati dalla concorrente Esselunga di avviare punti vendita di medie e grandi dimensioni..(..) .

Da allora Bernardo Caprotti e la sua “Esselunga” sono sempre stati attaccati dall’intellighenzia sinistra, attacchi che proseguono ancora oggi nonostante siano ormai passati anni dalla morte del suo fondatore. Bernardo Caprotti, è stato tutta la vita “Anticomunista”, ma probabilmente pure “Antifascista”, in quanto figlio di quella borghesia, cresciuta col mito americano.

Bernardo nasce ad Albiate nel 1925 primogenito dell’industriale tessile Giuseppe Caprotti ex ufficiale nel corpo degli alpini durante la prima guerra mondiale, e della cittadina francese Marianne Maire.

Nel 1951 terminati gli studi in giurisprudenza all’università di Milano, viene mandato dal padre negli Stati Uniti per impratichirsi nell’industria della meccanica tessile. Nell’estate del 1952 dopo l’improvvisa morte del padre è costretto a rientrare per occuparsi dell’impresa di famiglia. Nonostante il lutto gli affari vanno a gonfie vele, e permettono a lui ed ai suoi familiari, di vivere la “Dolce vita”, raccontata magistralmente da Federico Fellini. A metà degli anni cinquanta il fratello di Bernardo, Guido Caprotti assieme al compagno di scuola e di baldoria, Marco Brunelli, mentre soggiornano dell’hotel Palace di Saint Moritz, ascoltano casualmente una conversazione fra i fratelli Brustio (top manager del gruppo “La Rinascente”), dove appresero che alcuni americani erano in trattative per aprire dei supermercati in Italia. L’americano in questione altri non era che Nelson Rockefeller, i due amici capirono al volo che poteva trattarsi di un’opportunità unica, tornati di corsa a Milano convincono Bernardo, e parte subito l’operazione per battere “la Rinascente”. Grazie alla mediazione della contessa Laetitia Boncompagni Pecci Blunt, contattano il magnate di New York e riescono ad averlo ospite nella loro dimora milanese alle spalle della Scala. Il 13 aprile 1957 Nelson Rockefeller, tramite la International Basic Economy Corporation, fondò la prima catena italiana di supermercati, la Supermarkets Italiani S.p.A con un capitale sociale iniziale di un milione di lire sottoscritto per il 51% dall’IBEC e per il restante da azionisti italiani, i fratelli Caprotti, Marco Brunelli, i proprietari del Corriere della Sera Mario e Vittorio Crespi e la principessa Laetitia Boncompagni. I nuovi soci non solo si dimostrarono pienamente disposti ad accettare le condizioni poste dall’IBEC in fatto di proprietà, di amministrazione e di gestione, ma si dichiararono desiderosi di contribuire alla creazione di negozi che fossero “esatte repliche dei supermercati statunitensi”. Il primo punto vendita della Supermarkets Italiani S.p.A. fu inaugurato il 27 novembre 1957 in un’ex-officina di viale Regina Giovanna a Milano direttamente da Rockefeller. L’insegna costituita dalla scritta “Supermarket”, disegnata da Max Huber, era caratterizzata da una S la cui parte superiore era molto allungata: quell’insegna darà poi il nome all'”Esselunga”. Il 9 febbraio 1961 dopo l’inaugurazione del primo supermercato toscano a Firenze, i fratelli Caprotti acquisirono il 51% della proprietà fino ad allora detenute da Rockefeller, pagando oltre 5 milioni di dollari. Bernardo con l’aiuto dei suoi fratelli Guido e Claudio, e dei suoi figli Giuseppe e Violetta, è riuscito a creare un’azienda che oggi ha più di 24.000 dipendenti, 160 punti vendita e 8 miliardi di euro di fatturato. Muore a Milano il 30 settembre 2016 una settimana prima del suo novantunesimo compleanno, lasciando agli eredi un particolare vincolo testamentale, l’azienda dovrà rimanere per sempre “Privata”, “Italiana”, e non potrà mai diventare “Coop”. Oltre all’oculata organizzazione “Esselunga” è da sempre all’avanguardia anche nelle campagne di Marketing e pubblicitarie, sia a livello grafico che televisivo. Dagli anni 70 a curare la grafica sarà il prestigioso “studio Testa”, diretto da Armando Testa (1917 – 1992) pittore astrattista allievo di Ezio D’Errico, e già autore di cartellonistica durante il fascismo. (Nel 1937 vinse il primo concorso per manifesti con il cartellone per la ICI). 7 anni dopo la morte di Caprotti, e 21 anni da quella di Testa, “Esselunga” torna prepotentemente nel dibattito politico per uno spot, dal taglio cinematografico intitolato “La Pesca”, realizzato dall’agenzia “Small”, e diretto dal regista francese Rudi Rosenberg. Un piccolo gioiello di film, in 120 secondi, che riprende la tradizione di grandi registi prestati alla pubblicità, Fellini per Barilla, Ridley Scott per Apple, o Woody Allen per il nemico di Capriotti “Coop”. Nello spot, una bambina al supermercato con la madre, la convince ad acquistare una pesca. Nella scena successiva la vediamo giocare sempre con la madre, in una bellissima casa, ed infine la vediamo “preparare” per uscire con il padre, e capiamo che i genitori sono separati. Una volta salita nell’auto del padre, la piccola dà la pesca al genitore, dicendogli che è un regalo della mamma. Chiaro tentativo di un cuore ferito di far riavvicinare i propri genitori. Salvatore Pane responsabile della comunicazione di Esselunga, ha dichiarato: «La campagna vuole parlare al cuore delle persone. Per tale motivo, per la natura stessa del messaggio che volevamo trasmettere, crediamo che una videostrategy articolata sia lo strumento più efficace. Da qui è nata l’idea di realizzare un cortometraggio che potesse essere trasmesso in televisione, nelle sale cinematografiche e sui canali digital. (..) Questa non è una campagna commerciale ma volutamente vuole dare spazio alle storie delle persone, mettere in luce il valore più alto legato al concetto di spesa e pensiamo che un linguaggio più cinematografico possa rendere al meglio la storia dei nostri protagonisti.”

Lo spot ha colpito nel segno, tutti ne parlano, tutti si sono mossi, e tantissimi si sono com-mossi. Qualcuno si è pure indignato, ed è proprio lo “storytelling” sulla famiglia scelto dallo spot il motivo per cui l’Italia intera ne parla, schierandosi in tifoserie contrapposte. Questo spot è stato vivisezionato quasi che fosse un trattato sociologico, o un documento giuridico. Il Presidente del Consiglio Meloni ha detto che lo spot è “molto toccante”, frase non pare sia piaciuta all’opposizione. L’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha detto che gli sembra: “davvero sbagliato mettere in mezzo la sofferenza dei bambini (..) per scopi commerciali”, dimentico di quando chiuse una delle sue campagne elettorali, con una bambina ghanese di 4 anni in braccio dicendo che sarebbe stata la “bambina del nostro futuro”. (Evidentemente per scopi politici si può).

Vladimir Luxuria, uomo di spettacolo ed ex deputato eletto nelle fila di rifondazione comunista, ritiene il messaggio dello spot: “Velenoso”, e paragona la bambina “Bugiarda e disubbidiente” alla strega di Biancaneve. “Quando ho visto lo spot dell’Esselunga mi è venuta in mente la favola, in particolar modo il momento in cui la strega di Biancaneve ha una mela in mano e cerca di convincere Biancaneve a mordere quella mela. Anche qui la bambina dà una pesca al papà ma è una pesca avvelenata. Avvelenata perché il messaggio è un messaggio velenoso, (..) Non c’è più la famiglia del Mulino bianco, (..) esistono tanti tipi di famiglie. Non solo famiglie eterosessuali ma anche famiglie arcobaleno, (..) famiglie che vivono insieme sia sposate sia non sposate ma anche tante famiglie ricomposte, quindi madre o padre che si sono risposati e ancora tante famiglie separate. Ora, il messaggio di questo spot pubblicitario è quello di una bambina triste, (..) perché i genitori si sono separati. (..) E c’è anche un’altra considerazione da fare: in questo spot la parte della cattiva della coppia la fa la donna. Lui, il papà, timidamente citofona e fa un cenno di saluto con la testa, lei invece arcigna lo guarda dalla finestra con uno sguardo severo e neanche gli permette di salire a casa.” Oliviero Toscani definisce lo spot Esselunga. “retrogrado ed estremista”. Il fotografo ideatore delle campagne per i Benetton comincia il suo ragionamento con una premessa: a lui Dio, patria e famiglia non sono mai piaciute. E nell’intervista rilasciata a Simonetta Scandivasci per “La Stampa” spiega che nel commercial con la pésca: “c’è una precisa presa di posizione e la si vede dalla scelta dei personaggi. C’è una madre rancorosa, arrabbiata. E un padre farfallone. Siamo spinti a pensare che la colpa sia di lei. E, soprattutto, che la separazione sia un male. E che faccia soffrire sia la figlia che i genitori”. Roberto Vecchioni, il filosofo cantante che solo pochi anni fa cantava: “Voglio una Donna con la Gonna“, si è piegato alle logiche woke: “Mi piace questa descrizione della famiglia naturale che non va difesa, ma sarebbe stato più originale se la bambina in auto avesse trovato un’altra donna, un’altra madre, e avesse dato la pesca a lei”. Marcello Veneziani di contro scrive: “Quando ho visto per la prima volta quello spot, non era ancora scoppiata la polemica, e in un primo tempo ho pensato, o forse sperato, che fosse uno di quei messaggi ministeriali, tipo pubblicità progresso, per promuovere la famiglia nonostante i divorzi e gli strappi e farlo dal punto di vista dei bambini. E invece, l’unico vero messaggio d’amore famigliare che la tv ha lanciato non proveniva dal governo, ma era uno spot pubblicitario.” Immagino una versione diretta da Nanni Moretti per Coop, con la fotografia di Oliviero Toscani, musiche di Fedez, dove vedremo l’ornai ex marito di Tiziano ferro, Victor Allen, accompagnare la figlia, alle scale guardarla dalla finestra salire nella Ferrari di Tiziano, e una volta li, ed allacciata la cintura di sicurezza, regalare a babbo da parte di babbo una banana. Del resto come ci ha insegnato l’ex componente della banda Militare del Governo Cubano Michael Chacon, “l’unico frutto dell’amor è la banana”. Sarebbe stata un tripudio di ovazioni e complimenti. Personalmente da padre separato ho apprezzato lo spot, e mi sono immedesimato nei miei figli, che come quella bambina (come ogni bambino), avrebbero voluto vivere in una famiglia unita. Ma mi sono anche ricordato che questo, come in tutti i messaggi pubblicitari, hanno il solo scopo di trasformare sentimenti (e risentimenti) in “shopping compulsivo”, le foto del vicepremier Matteo Salvini con il carrello pieno di sacchetti Esselunga, mi ha fatto inorridire quanto e più delle dichiarazioni di Luxuria. (Del resto il padre di Vladimiro Guadagno era militante del M.S.I., mentre Matteo Salvini era a capo dei “Comunisti Padami”. Quando Nelson Rockefeller, importò l’ “Esselunga” nella colonia italiana, pensava solo ai soldi, e Capriotti ed i suoi eredi non si sono spostati di una virgola da quella missione. Un’ altra nota leggermente stonata è “l’opulenza” del contesto, in cui si muove questa ormai ex famiglia, nella realtà dei fatti spesso i padri di famiglie separate in auto ci vivono, e le pesche, in stagione, le mangiano alla Caritas.

Immagine: https://www.ilriformista.it/

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