Pietre da S. Sepolcro

 

Pietre da S. Sepolcro

“Gioia di esaltare poeticamente il 23 Marzo 1919. Quindi urgenza di estrarre dal mio cuore di poeta futurista Sansepolcrista i ricordi di quella mattina scialba gelata ora già scotta s’incendia diventa canto tragico…” (pag. 7 dal Poema dei sansepolcristi di F. T. Marinetti, 1935-36).

100 anni da piazza S. Sepolcro, la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (sic!) nella Milano che partorì i Fasci italiani di combattimento, ha dedicato spazio all’anniversario dentro la mostra su 900, la Stagione dei diritti. Quando la piazza faceva la Storia, e quella di piazza, dove affaccia l’omonima chiesa delle crociate, di storia ha colmato il “secolo breve”. Tagliato il nastro del genetliaco cosa resta del “male assoluto” come lo de-finì un cestinato nel dimenticatoio, oltre il gruppuscolismo dei duri e puri snocciolatori di memorie. Onestamente poco oltre le celebrazioni di camerati caduti, gli amarcord di generazioni ribelli al confino nel ghetto fascista, parola ormai vuota usata con disprezzo perfino da un figlio/a contro un padre davanti ad un diniego o verso la famiglia uomo e donna (!). Fuori dal contesto storico oggi quei “rigurgiti” (così li chiamavano) paiono, mi si perdoni, appendici d’ una tragicommedia, dove il nemico del ’40-‘45 (USA e l’Europa dell’usura) divenne l’alleato (NATO) da difendere nella guerra fredda. I nostri martiri a vent’anni caddero assassinati nelle strade, in casa, nelle sezioni, conobbero le sbarre, cavalcando la poetica d’una rivoluzione mai matura, nell’attesa si stava obbedienti nella garetta a sentinella, in fondo, del sistema-nemico perché quel sangue fresco fu pegno dato ai sacerdoti del capitalismo, all’insaputa di vittime sacrificali. Obtorto collo si scelse il “non rinnegare non restaurare” col pragmatismo necessario per resistere, diventando destra politica a difesa dell’ordine costituito da zio Sam, d’altra parte oltre la cortina c’era il comunismo tiranno di “baffone”, messia rosso dei compagni, così fu scelta la realpolitik nello scontro cagnesco fra i titani.

Il programma dei sansepolcristi in quel 23 marzo del ’19, in una mattina scialba gelata fu un incendio appiccato dai credenti dell’antipartito nei locali dell’Associazione Commercianti ed Esercenti, fu anche quella una crociata popolare che divampò sulla penisola assonnata, adrenalina socialista nel corpo nazionale, perché socialista era quel romagnolo di Dovia di Predappio e sindacalista d’urto socialista Alceste De Ambris, rivoluzionario, mazziniano, interventista, al fronte in guerra poi con D’Annunzio nell’impresa fiumana.

Diceva tra l’altro quel testo influenzato dal Partito Politico Futurista:

– «Se la borghesia crede di trovare in noi dei parafulmini, s’inganna».

– «Bisogna perciò accettare i postulati delle classi lavoratrici…anche perché vogliamo abituare le classi operaie alla capacità direttiva delle aziende».

– «Per quello che riguarda la democrazia economica, noi ci mettiamo sul terreno del sindacalismo nazionale e contro l’ingerenza dello Stato».

In queste tre enunciazioni c’è tutto, aggiungeremo solo il cappello al programma manifesto dei Fasci Italiani di combattimento pubblicato sul Popolo d’Italia nel giugno del ’19:

Italiani!

Ecco il programma nazionale di un movimento sanamente italiano. Rivoluzionario perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore perché antipregiudizievole.
Noi poniamo la valorizzazione della guerra rivoluzionaria al di sopra di tutto e di tutti.
Gli altri problemi: burocrazia, amministrativi, giuridici, scolastici, coloniali, ecc. li tracceremo quando avremo creata la classe dirigente.

I punti programmatici che seguono sono di un’attualità sorprendente ma lo spazio è tiranno perciò invito i nostri lettori a documentarsi compreso il fatto, non secondario, che i sansepolcristi erano democratici riformisti ed antimperialisti. Questa la politica che incendiava le piazze non il borghesissimo web; come divenne scotta quella rivoluzione sansepolcrista lo sappiamo, fu il canto tragico che compianse un morto, ma alcune pietre d’inciampo restano eccome, per costruire l’oggi senza girarsi indietro.

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